Il fundraising è considerato sempre più strategico all’interno delle organizzazioni culturali. È l’importante segnale che emerge dalla quarta edizione di Più Fundraising Più Cultura, evento organizzato dalla Scuola di Fundraising di Roma e co-prodotto con Patrimonio Cultura e l’Associazione Fundraising Lab. Ne abbiamo parlato con Massimo Coen Cagli, direttore scientifico della Scuola di Fundraising di Roma.
Servono politiche nuove
“Molte realtà private e pubbliche hanno manifestato una volontà di destinare maggiore importanza al fundraising, visto non più solo come mero strumento per recuperare quei fondi che lo Stato non riesce più a erogare” ci spiega. “La crescita della raccolta fondi culturale, nonostante il periodo di crisi, è segno che il nostro Paese è pronto a sostenere la cultura”. Servono però politiche per agevolare donatori e ETS. “Le istanze sostenute anche da aziende e istituzioni non trovano ancora un’adeguata risposta sul piano dei provvedimenti da parte delle istituzioni pubbliche”.
Art Bonus e non solo
Misure che per altro non richiederebbero ingenti investimenti economici o la creazione di nuove leggi, ma produrrebbero impatti estremamente positivi sotto il profilo della sostenibilità della cultura. “Pensiamo allo sviluppo positivo dell’Art Bonus: oggi è destinato esclusivamente alle istituzioni pubbliche, ma in Italia la cultura è animata ogni giorno da decine di migliaia di organizzazioni non profit. Allargare la platea dei soggetti beneficiari aumenterebbe molto il suo impatto. O ancora, istituire il DonoPA al posto di PagoPA (non adatto alle donazioni) sarebbe a costo zero. Infine, anche la possibile reintroduzione del 2×1000 per la cultura andrebbe in questa direzione”.
Un approccio strategico al fundraising
Le organizzazioni lo stanno capendo: di fundraising non si possono occupare solo i tecnici o chi sa applicare leggi e agevolazioni fiscali. “I gruppi dirigenti iniziano a farsene carico al pari di temi importanti come la progettazione culturale e le pubbliche relazioni. Ecco perché, sul fronte della formazione al fundraising, deve essercene una specifica per i suoli apicali”. Dell’importanza strategica del fundraising sono consapevoli soprattutto le aziende. “Una novità emersa è che i fundraiser favoriscono il dialogo tra aziende e mondo della cultura, che esse percepiscono come importante canale di relazione con il proprio territorio”.
La coprogettazione con le aziende
Le aziende non si avvicinano più alla cultura con il ruolo di finanziatori, ma come “soggetti attivi che vogliono lavorare al fianco delle istituzioni”. Usando le parole di Vera Donatelli di BPER Banca, si abbandona il concetto di sponsorship per abbracciare quello più profondo di partnership per sviluppare progetti culturali che rispecchino obiettivi comuni e che producano valore, benessere e welfare per la comunità. “Si elimina così la divisione tra fondazioni, aziende e comunità. La cultura reinserisce le aziende nel tessuto sociale di cui fanno parte, per ricostituire un’unica comunità. Non essendo benefattori esterni ma parte integrante della comunità, il loro apporto genera benefici anche per esse stesse”.
Il fundraising per coinvolgere le comunità
Proprio su questo versante, i fundraiser giocano un ruolo fondamentale. “Anche ICOM Italia ha evidenziato come siano i traghettatori delle istituzioni culturali verso un diverso rapporto con la comunità. Il cittadino non è più solo un fruitore di cultura o donatore, ma partecipa alla governance delle organizzazioni, trattando davvero la cultura come bene comune”. Anche per Gregorio Arena, fondatore di Labsus-Laboratorio sulla sussidiarietà, il dono è un’opportunità per creare una connessione sentimentale con la propria comunità. Il lavoro del fundraiser non viene dunque dopo l’ideazione di un progetto per trovare finanziamenti, ma interviene nel processo di creazione della proposta. “Per questo ha un ruolo sociale importante, quello di creare legami per accrescere il capitale sociale dei territori”.
Formazione e capacity building
Se, insomma, sei un’organizzazione culturale e non hai al tuo interno dei fundraiser, non stai facendo bene il tuo lavoro di cura e sviluppo dei beni culturali. “Anche Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali, che ha in capo formazione degli operatori nel mondo della cultura, ha annunciato che investirà di più nel fundraising”. Non basta però formare nuovi operatori, serve anche un percorso di Capacity building per le organizzazioni su questa sorta di transizione economica. “Il modello che non si basa solo sui fondi pubblici, ma guarda a una pluralità di fondi anche di privati. Le organizzazioni di rappresentanza del mondo culturale dovrebbero assumersi maggiori responsabilità in termini di rafforzamento delle competenze dei propri associati. Il percorso positivo però è iniziato”.
Il digital fundraising
Sul fronte della transizione digitale delle organizzazioni, il Crowdfunding è stato l’apripista. “Aprendo al mondo del dono digitale, ha accelerato un processo ancora in corso e che vede il Metaverso e la digitalizzazione di patrimonio culturale come un orizzonte promettente. E questa è la strada da percorrere non solo per le grandi istituzioni, ma soprattutto per le medie e piccole: esempio lampante la campagna di crowdfunding realizzata su Rete del Dono ‘Una Montagna di Libri’, che ha finanziato una festa internazionale della letteratura sulle Dolomiti”. L’attivazione di una community di donatori ha evidenziato come il Crowdfunding sia anche in grado di intrecciare persone e reti sociali per un progetto culturale comune che altrimenti non sarebbe finanziabile.