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Il testimonial fundraising è una strategia utilizzata da molte organizzazioni ed enti del Terzo Settore: vediamo quali sono i vantaggi e quali le sfide che questa scelta comporta

 

Associare volti noti a una campagna di beneficenza o a un’organizzazione è una prassi consolidata da decenni nel mondo del Terzo Settore. Questa pratica prende il nome di testimonial fundraising e presenta molti vantaggi e alcune criticità. Vediamo quali.  

 

Che cos’è il testimonial fundraising

Il testimonial fundraising è una strategia di raccolta fondi che utilizza il volto, i contatti e l’autorevolezza di una persona famosa – spesso proveniente dal mondo dello spettacolo o dello sport –  per promuovere e sostenere una causa, un progetto o un’organizzazione no-profit. Il testimonial presta la propria immagine, reputazione e credibilità per attirare l’attenzione, sensibilizzare il pubblico e incentivare le donazioni. Se ben pianificato, il testimonial fundraising può essere una strategia molto efficace per mobilitare risorse e sostenere cause benefiche, sfruttando la potenza dell’influenza e della credibilità di figure pubbliche.  

 

Come scegliere il testimonial

La scelta del testimonial è cruciale per la riuscita della fundraising strategy.  Questo passaggio è insidioso perché il rischio che la scelta si trasformi in un boomerang esiste, anche quando tutto viene fatto in buona fede. Pensiamo al clamoroso caso di Chiara Ferragni e del Pandoro Balocco. Il terreno sul quale ci si muove – soprattutto quando si ha a che fare con influencer – è potenzialmente molto fruttuoso ma altrettanto scivoloso.

Come scegliere dunque il giusto testimonial? La regola d’oro è orientarsi verso un personaggio che per affinità, storia personale, valori, comportamenti sia vicino alla causa o alla realtà della quale dovrebbe farsi portavoce. Una persona affidabile, nota al grande pubblico non soltanto per la sua carriera, ma anche per i propri valori. Mai scegliere un personaggio soltanto per la sua fama e notorietà. Bisogna puntare sulla qualità, studiando e informandosi accuratamente sul vissuto del potenziale testimonial individuato. C’è poi da considerare l’eventuale cachet. L’ideale sarebbe trovare un personaggio disposto a farsi portavoce di una causa a titolo gratuito. Questo aspetto è indicativo della personalità del testimonial e della sua reale adesione alla causa.

Infine, occorre sondare la disponibilità del testimonial a intraprendere un percorso comune e a stabilire una relazione duratura con l’organizzazione. La durata è un altro elemento decisivo che dice molto sull’attendibilità e sull’autenticità della partnership.  

 

Esempio di testimonial fundraising

Un caso che ha fatto scuola e che risponde positivamente a tutti gli elementi indicati in precedenza è il testimonial fundraising della Rete del Filo d’Oro, che per quasi trent’anni ha visto come suo testimonial Renzo Arbore. In tutti questi anni tra il famosissimo musicista e conduttore e l’organizzazione è cresciuto un concreto rapporto di conoscenza e fiducia reciproca. Questa autenticità emerge anche da un semplice spot televisivo. A volte si va alla ricerca di una formula magica quando invece succede quasi sempre che la genuinità e la naturalezza emergano in modo spontaneo: le persone le percepiscono e il successo è assicurato.

La Lega del Filo d’Oro ha anche condotto con grande cura il passaggio da un testimonial all’altro, rendendolo pubblico con uno spot nel quale lo stesso Arbore lo comunica, introducendo il nuovo testimonial: Neri Marcorè. L’attore, noto anche per la sua pacatezza, attenzione e gentilezza, non solo è impegnato nel ruolo di testimonial, ma ha anche contribuito economicamente a realizzare il Centro Nazionale di Osimo, un polo all’avanguardia per la riabilitazione di bambini disabili e adulti sordociechi.  

 

Qual è la differenza tra testimonial e influencer?

Il testimonial è un personaggio noto per la sua carriera e per i riconoscimenti ottenuti nel corso della propria esperienza professionale, che si tratti di cinema, sport o politica. L’influencer è una persona diventata famosa grazie ai social media, ma che non è detto abbia alle spalle una carriera o una professionalità che la distingue.

Quindi, se da un lato puntare su un influencer può essere vantaggioso in termini di visibilità, dall’altra è più difficile individuare il personaggio adatto senza incappare in pericolosi scivoloni. In questo caso occorre informarsi in modo ancora più accurato, discutendo con l’influencer tutti i termini della collaborazione, e identificare una persona che comunque abbia qualcosa a che fare con la campagna in oggetto: non può mai essere completamente slegato.

La scelta dell’influencer potrebbe essere adatta ad una singola campagna, con un inizio e una fine, che si pone come obiettivo il coinvolgimento di fasce generazionali giovanili e che per questo verrà costruita e diffusa prevalentemente tramite i canali social. Bisogna tenere a mente che la notorietà degli influencer può essere molto effimera: per questo va bene per una raccolta fondi contingente e mirata. Il testimonial rimane invece la scelta più adatta quando l’obiettivo è quello di raggiungere un pubblico ampio e stabilire una relazione duratura in grado di far crescere l’organizzazione nel tempo, conquistando passo dopo passo la fiducia di nuovi sostenitori.

 

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Valeria Vitali

Dopo una laurea in Scienze Politiche presso Università degli studi di Pavia e un Master in Cooperazione e Sviluppo a Barcellona, ha iniziato il suo percorso professionale in Italia, occupandosi di comunicazione, per poi allargare i suoi orizzonti all’estero. È proprio qui che nasce l’idea di Rete del Dono, l’idea di diffondere in Italia una rivoluzione culturale che avvicini le persone al dono, inteso come gesto di impegno civile. L’innovazione digitale ha fatto la sua parte, facilitando e dando maggior concretezza a questo progetto costruito insieme ad Anna Siccardi.

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