Più una persona è coinvolta da una causa, più ne diventa testimonial credibile e appassionato. Questa è la forza del Personal fundraising per la comunità: se infatti le cause umanitarie possono fare leva sulla rilevanza del bisogno (ma pagano lo scotto della lontananza dalla quotidianità delle persone), le organizzazioni territoriali puntano tutto sull’entusiasmo dei propri volontari e sull’impatto tangibile del proprio operato. E in alcuni casi possono metterci la faccia gli stessi beneficiari.
Personal fundraising: cos’è
I personal fundraiser sono persone che decidono di sostenere una causa o un Ente del Terzo Settore in maniera ancora più attiva rispetto a una semplice donazione. Essi infatti non si limitano a donare in prima persona, ma spendono tempo ed energie per aprire una raccolta fondi e invitare i propri contatti a contribuire. Spinti dal senso di appartenenza verso un’organizzazione, mossi dall’urgenza della causa e dal senso civico che valorizza il dono come risorsa per la propria comunità, i personal fundraiser scendono in campo in prima linea per permettere a una più ampia campagna di crowdfunding di raggiungere il proprio obiettivo di raccolta.
Una cura per GNAO1
È il caso della campagna lanciata da Famiglie GNAO1, associazione nata nel 2019 per diffondere la conoscenza sulla mutazione del gene GNAO1; si tratta di una malattia rarissima scoperta solamente nel 2013 e per la quale non esiste ancora una cura. “La maggior parte dei bambini con questa diagnosi non possono camminare, parlare o stare seduti da soli” spiega Massimiliano Tomassi, Presidente. “Siamo già riusciti a organizzare due conferenze scientifiche internazionali e ad avviare 3 progetti di ricerca in Italia”. Questa volta, sul modello di CAN 2021, hanno pensato di coinvolgere direttamente le famiglie che convivono ogni giorno con questa malattia.
Persone al centro
Insieme a Massimiliano, papà di Giammarco, si sono messe in prima linea altre 5 famiglie superando qualche timore: “Non tutti se la sono sentita di parlare della propria esperienza, ma hanno comunque supportato la campagna e siamo contenti dei risultati”. Oltre alla raccolta, colpisce infatti il numero di donatori: dato importante per un’organizzazione che lavora anche sull’awareness. “Ci rivolgiamo alle nostre conoscenze più strette e tramite i social e WhatsApp proviamo ad allargare la cerchia; il passaparola ha funzionato, perché è arrivata più di una donazione inaspettata. Di certo con una semplice campagna di Crowdfunding non avremmo raccolto così tanto”.
La Zuppa della Bontà tra piazza e digital
Con la tradizionale Zuppa della Bontà, anche Progetto Arca ha puntato sul Personal fundraising per la comunità. Obiettivo: garantire 10.000 zuppe calde ai senzatetto nei duri mesi invernali. “Dopo due anni senza banchetti, questa ottava edizione torna in piazza il 22 ottobre. Abbiamo però voluto mantenere la formula online, coinvolgendo i nostri volontari ad attivare campagne di personal fundraising su Rete del Dono. Alcuni infatti preferiscono coinvolgere i propri conoscenti e non stare in piazza” spiega Martina Cito, Direct Marketing Assistant. Molti però si attivano sul doppio fronte e, accanto all’evento che dura solo un weekend, si impegnano per diverse settimane. “Tra i fundraiser ricorsivi più affezionati, un nostro volontario quest’anno si è attivato prima ancora che lanciassimo la campagna”.
Spazio alla creatività dei singoli
Si parte con un momento di formazione insieme a Rete del Dono, per fare squadra e dare i primi suggerimenti. Poi però è importante un contatto costante con tutti i personal: “Complimentarsi, rilanciare dando loro aggiornamenti dalle unità di strada che possano usare come contenuti sui loro canali. Quest’anno abbiamo aggiunto un piccolo gadget fisico, uno spunto creativo per le loro foto e video sui social. Poi però ogni personal sa come coinvolgere il proprio target: una nostra volontaria, con spirito giocoso, si è vestita da strega alludendo ad Halloween; c’è chi sfrutta il proprio compleanno; chi la propria rete lavorativa usando le mail e un canale insolito come LinkedIn; un professore l’anno scorso ha attivato la propria classe in una vera e propria gara di solidarietà”. Accanto al reward istituzionale (lo stesso sacchetto di zuppa che viene regalato anche presso i banchetti) ci sono poi quelli personalizzati: dalla marmellata fatta in casa a una torta, o l’invito a casa per un caffè.
5 consigli sul Personal fundraising per la comunità
- Associate una richiesta di donazione a una testimonianza diretta, a un volto e un nome. Favorisce lo storytelling personale e coinvolge emotivamente le persone. “Difficile reclutare personal fundraiser, tramite social, che non ci conoscono. L’attrattività della causa non è così forte per chi è lontano dall’organizzazione” dice Martina Cito.
- Guidate la campagna per renderla corale. Famiglie GNAO1 ha suggerito un testo e una veste grafica coerente da personalizzare; Progetto Arca sta in contatto con ciascuno dei propri personal fundraiser e, con un gancio fisico, non fa rimanere tutta la campagna sul digitale.
- Fidatevi dell’intuito dei personal. Ogni persona sa cosa dire e come attivare i propri donatori; fornite la cornice entro cui muoversi e poi affidatevi alla creatività di ciascuno.
- Rinnovatevi ogni anno. Nel caso di campagne tradizionali e di fundraiser ricorrenti, introducete una piccola novità. “L’anno scorso abbiamo fatto un contest tra i volontari, quest’anno abbiamo introdotto i sacchetti di zuppa anche per i personal fundraiser”.
- Le persone donano alle persone. “Dona ‘per la ricerca scientifica’ è un messaggio che rischia di apparire poco incisivo. È il nome del personal fundraiser e del beneficiario a coinvolgere” dice Massimiliano Tomassi.