Le Riforma del Terzo Settore ha riorganizzato, rafforzato e reso più trasparenti le attività delle molteplici realtà che operano nell’ambito del non profit: ecco in che cosa consiste e quali cambiamenti ha determinato
La Riforma del Terzo settore è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale nell’agosto del 2017, ma l’introduzione operativa è stata molto graduale. In particolare, dal 23 novembre 2021 è iniziato il processo di trasmigrazione delle organizzazioni di volontariato (Odv) e associazioni di promozione sociale (Aps) iscritte nei registri attuali. A ottobre 2023, sono circa 115mila gli enti che hanno effettuato l’iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore (RUNTS). Vediamo in che cosa consiste la Riforma, quali sono le principali novità e alcuni consigli per aggiornarsi e organizzarsi nel migliore dei modi.
In che cosa consiste la riforma del Terzo settore?
La riforma del Terzo Settore è un insieme di provvedimenti normativi e di cambiamenti strutturali volti a promuovere e rafforzare il ruolo delle organizzazioni non profit e di volontariato in Italia. La riforma del Terzo Settore è stata attuata con la legge n. 106/2016, nota anche come “Legge delega per il riordino del Terzo Settore”, dalla quale è stato poi estrapolato il Codice del Terzo Settore (attuato con il Decreto legislativo 3 luglio 2017 n.117).
Scopo della legge è unificare la normativa relativa al Terzo Settore, includendo e ordinando tante realtà tra le quali associazioni di promozione sociale (APS), associazioni e reti associative che svolgono una o più attività con finalità civiche solidaristiche e di utilità sociale, società di mutuo soccorso, enti filantropici, fondazioni e altri enti di volontariato. Oggi, tutti questi enti si chiamano Enti del Terzo Settore (ETS), una nuova forma giuridica istituita dalla Riforma.
In generale, l’obiettivo della Riforma del Terzo Settore è quello di rafforzare il ruolo delle organizzazioni nonprofit nella società, facilitando la loro attività, aumentando la trasparenza e promuovendo la partecipazione attiva dei cittadini. In particolare:
- attraverso l’obbligo per le organizzazioni del Terzo Settore di rendere pubbliche le proprie attività e i propri bilanci;
- con l’introduzione di nuovi incentivi fiscali per le donazioni alle organizzazioni del Terzo Settore;
- promuovendo la partecipazione e la democrazia interna alle organizzazioni del Terzo Settore, tramite regole per l’elezione degli organi dirigenti e la partecipazione dei volontari nelle decisioni strategiche;
- semplificando le procedure amministrative e burocratiche per le organizzazioni del Terzo Settore, al fine di agevolare la gestione delle attività e favorirne la crescita.
Gli errori da non fare
Per molti enti senza fini di lucro la possibilità di acquisire la qualifica di ente del Terzo settore sta rappresentando uno snodo fondamentale nella pianificazione delle proprie attività. Numerose proroghe hanno permesso a Onlus, ODV, APS ed imprese sociali di adeguare i propri statuti utilizzando le maggioranze “semplificate”. Sicuramente è bene non guardare all’acquisizione della qualifica di ente del Terzo settore come ad un mero adempimento. Se da un lato per alcune categorie di enti il passaggio potrebbe essere meno articolato, si pensi ad esempio alle Associazioni di Promozione Sociale o alle Organizzazioni di Volontariato, per altri – prime fra tutte le Onlus – assume una rilevanza fondamentale, e deve essere ragionato da un punto di vista strategico.
Quali impatti al di là del riordinamento giuridico
La riforma aiuta a fare un po’ di chiarezza nel variegato mondo del Terzo settore che, secondo una esplicativa definizione di Giovanni Moro, rappresenta “una categoria del pensiero economico diventata prima teoria sociale, poi provvedimento legislativo di carattere tributario e ora spazio protetto di azione in cui tutto è possibile, dai ristoranti alle palestre, dalle cliniche alle polisportive”. Ai nuovi ETS viene ora richiesto uno sforzo di trasparenza ed accountability non secondario, anche rispetto all’attività di rendicontazione economica e sociale. Occorre quindi in primo luogo essere consapevoli di cosa vorrà dire diventare (o non diventare) degli ETS in modo da poter sfruttare a pieno in vantaggi e le opportunità che la riforma offre.
Riforma Terzo settore: qualche consiglio pratico
In primis è importante non limitarsi a fare una valutazione di pura “convenienza” , ragionando magari in un’ottica esclusivamente fiscale ad esempio, quanto piuttosto di “appartenenza”. Si dovrebbe quindi sfruttare l’occasione fornita dalla riforma per ripensare la struttura dei singoli enti al fine di assumere una conformazione coerente con il proprio modello organizzativo, la propria governance e la natura delle attività svolte. Un esempio concreto sono le Onlus che dovranno fare una scelta di campo per decidere cosa diventare all’interno del nuovo ecosistema, optando ad esempio per una dimensione associativa/volontaristica o piuttosto assumere un profilo imprenditoriale, virando verso l’impresa sociale.
Quando entrerà in vigore la Riforma del Terzo settore?
La Riforma del Terzo Settore è già entrata in vigore, ma sono ancora in corso alcuni adattamenti e aggiornamenti. Ad esempio, è stata recentemente prorogata l’entrata in vigore di una nuova norma sull’Iva per gli enti non commerciali, pervista ora per il 1° luglio 2024. In sostanza, questa norma obbliga le associazioni all’assoggettamento al regime dell’Iva, anche se non operano a scopo di lucro. Si passa dall’attuale regime di esclusione Iva ad un regime di esenzione Iva. Questo cambiamento non comporta variazioni dal punto di vista economico, in modo diretto, ma determina l’insorgere di costi per la tenuta della contabilità Iva e di altri adempimenti burocratici.
Cosa succede a chi non si iscrive al Runts?
Il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS) è uno strumento introdotto con la Riforma del Terzo Settore. La sua finalità è quella di costituire un registro che raccolga informazioni sulle organizzazioni del Terzo Settore, come associazioni, fondazioni e enti di volontariato. L’iscrizione al RUNTS è obbligatoria per tutte le organizzazioni del Terzo Settore. Dunque, chi non si iscrive non può fare parte del Terzo Settore, o più precisamente non può essere denominato Ente del Terzo Settore.
Quali sono gli enti che non fanno parte del Terzo settore?
Non possono essere riconosciuti come Enti del Terzo Settore
- amministrazioni pubbliche ed enti da esse controllati
- enti privati con finalità economiche come associazioni di categoria o professionali
- sindacati
- partiti politici
- società commerciali non riconosciute come Imprese Sociali.
Che fine fanno le Onlus con la riforma del Terzo Settore?
Le Onlus, con la Riforma del Terzo Settore sostanzialmente cambiano nome, diventando semplicemente ETS, Enti del Terzo Settore. Non esiste più il termine Onlus, anche se spesso per abitudine si continua ad usarlo, ma le realtà che operavano sotto questo nome potranno continuare a svolgere le proprie attività iscrivendosi al RUNTS e adeguandosi alla nuova normativa. Più nello specifico, poiché il RUNTS prevede sei categorie, le ex Onlus devono scegliere in quale collocarsi tra:
- Organizzazioni di volontariato
- Associazioni di promozione sociale
- Enti filantropici
- Imprese sociali
- Reti associative
- Società di mutuo soccorso
- Altri Enti del Terzo Settore.